24
Superato senza problemi il campo inondato dal chiarore lunare, Austin si diresse verso la parete fatta di sassi. Varcò una porta, per fortuna non chiusa a chiave, e si ritrovò all'interno di un locale buio dove riconobbe i classici odori di un garage, come benzina o gasolio. Si concesse una piccola dose di ottimismo: una rimessa poteva ospitare un'auto, magari un camion.
Le sue dita protese trovarono un interruttore, e un istante più tardi scoprì che quello non era un garage, bensì un piccolo hangar.
Il biplano rosso vivo aveva le ali leggermente angolate all'indietro, e la coda a forma di cuore decorata da un'aquila nera a tre teste. Fece scorrere le dita sulla fusoliera, ammirando l'accurato restauro effettuato sull'aereo.
Agganciato alla parte inferiore di ciascuna delle ali, sporgeva un contenitore metallico a forma di siluro sul quale spiccavano un teschio e due tibie incrociate. Veleno.
Sbirciò negli abitacoli gemelli. I comandi consistevano in una singola leva di fronte al sedile e in un pedale che governava il timone. Muovendo avanti e indietro la cloche si controllava la quota, spostandola lateralmente si azionavano gli alettoni in testa d'ala per preparare una virata. Per quanto primitivo, il sistema era un miracolo di semplicità e consentiva di pilotare il velivolo con una mano sola.
L'abitacolo alloggiava una serie di moderni strumenti non previsti dal modello originale quali una ricetrasmittente ultimo modello, una bussola magnetica e un navigatore GPS. Due cuffie collegavano gli abitacoli. Austin effettuò una rapida ispezione dell'hangar. Alle pareti era appesa una quantità di attrezzi e parti di ricambio. Sbirciò in un magazzino pieno di contenitori di plastica, tutti contrassegnati da teschio e tibie. Le etichette identificavano il contenuto come pesticida.
Staccata una torcia elettrica da una staffa a muro, spense le luci e si avvicinò alla porta. Silenzio. Fece lampeggiare tre volte la pila, poi restò a guardare l'ombra che saettava fra gli alberi e, attraversato il campo, si dirigeva senza rumore verso di lui. Scrutò la boscaglia per assicurarsi che Skye non fosse stata avvistata, quindi la trascinò all'interno chiudendole la porta alle spalle.
«Come mai ci hai messo tanto?» chiese lei, irritata. «Mi sono preoccupata, quando ho visto le luci accendersi e poi spegnersi.»
Austin non se la prese per il tono accusatorio nella voce di lei: era segno che aveva riacquistato la naturale combattività. «Le mie scuse», mormorò dandole un bacio sulla guancia. «Al banco delle prenotazioni c'era la fila.»
«Che cos'è, questo posto?» volle sapere lei battendo le palpebre nell'oscurità.
Austin accese la torcia e fece scorrere il fascio di luce lungo la fusoliera dell'aereo, dall'elica in legno allo stemma sulla coda.
«Stai ammirando la flotta aerea della famiglia Fauchard. Credo usino il biplano per irrorare di antiparassitario le vigne.»
«Bello.»
«Più che bello: è il nostro lasciapassare per andarcene da qui.»
«Sei in grado di guidarlo?»
«Credo di sì.»
«Credi?» Scosse la testa con aria incredula. «Hai mai volato su un aggeggio del genere?»
«Decine di volte.» Poi, notando l'aria scettica di lei, si corresse. «D'accordo. Una volta, durante una fiera paesana.»
«Una fiera paesana», ripeté Skye in tono lugubre.
«Una fiera importante. Senti, gli aerei che mi è capitato di condurre avevano sistemi di controllo più sofisticati, ma il principio è lo stesso.»
«Mi auguro che tu sappia pilotare un velivolo meglio della macchina.»
«La nuotata notturna non è stata una mia idea. Ricorderai che sono stati gli scagnozzi di Fauchard a distrarmi.»
Lei gli diede un buffetto sulla guancia. «Come potrei dimenticarlo, chéri? Bene, cosa stiamo aspettando? Che devo fare, io?»
Austin le indicò un gruppo di interruttori con delle etichette in francese.
«Prima di tutto, vorrei che mi spiegassi a cosa servono quelli.»
Rimase ad ascoltarla mentre traduceva le scritte, quindi la condusse verso il muso dell'aereo, le fece appoggiare le mani sull'elica e le ordinò di scansarsi immediatamente, appena avviate le pale. Infine si arrampicò nell'abitacolo del pilota e, dopo una rapida verifica dei comandi, mostrò a Skye il pollice alzato. La donna afferrò l'elica con entrambe le mani, dette una spinta secca e scivolò via come da istruzioni. Il motore tossicchiò un paio di volte, ma rifiutò di avviarsi.
Dopo aver regolato leggermente la valvola, Austin le chiese di riprovare.
Con una cupa determinazione dipinta in volto, lei chiamò a raccolta tutte le proprie forze e ritentò. Quella volta il motore rispose, il suo ruggito amplificato dalle pareti circostanti.
Sfrecciando attraverso i fumi di scarico purpurei, Skye azionò gli interruttori per aprire il portone e accendere le luci del campo di atterraggio, poi si arrampicò nell'abitacolo. Si stava ancora allacciando la cintura di sicurezza quando l'aereo uscì rollando dall'hangar.
Austin non perse tempo con le manovre a terra: diede gas e il velivolo cominciò a prendere velocità avanzando sul campo fra la doppia fila di luci. Cercò di maneggiare i comandi con delicatezza, ma sotto le sue dita inesperte il biplano prese a scodare e il movimento a zigzag rallentò l'accelerazione del mezzo.
Sapeva che se non avesse guadagnato immediatamente la velocità di decollo sarebbe andato a schiantarsi contro gli alberi alla fine della pista. Si costrinse a rilassare i muscoli, a lasciare che fossero i comandi a dire a mani e piedi che cosa fare. L'aereo si stabilizzò aumentando l'andatura.
Austin diede una tiratina alla cloche per azionare il timone di quota. Le ruote si staccarono da terra e l'apparecchio cominciò la sua salita, ma era ancora troppo lento per non incappare nella vegetazione.
Aveva disperatamente bisogno di strappare alle ali qualche centimetro in più. L'audace biplano dovette udire la sua preghiera, perché sembrò alzarsi leggermente andando a sfiorare le cime degli alberi con il carrello di atterraggio. Le ali oscillarono per l'impatto, poi il velivolo tornò a stabilizzarsi.
Continuando a guadagnare quota, Austin lanciò un'occhiata a destra e a sinistra per orientarsi. La campagna era immersa nell'oscurità; unica eccezione, Château Fauchard, con le sue sinistre torri illuminate dai fari. Cercò di tracciare mentalmente una mappa della zona sfruttando il ricordo del tragitto in auto. Riusciva a distinguere il viale ad anello con la sua bizzarra fontana, la strada illuminata dalle lanterne che scendeva per la collina, il lungo tunnel formato dalla vegetazione.
Fece inclinare di lato il velivolo per seguire più agevolmente la strada fra i vigneti, puntando a est a un'altitudine approssimativa di mille piedi.
Un leggero vento contrario non consentiva al biplano di superare la velocità subsonica di ottanta miglia l'ora. Soddisfatto di essere riuscito a imboccare una rotta che li avrebbe riportati verso la civiltà, afferrò il microfono che lo collegava all'abitacolo di Skye.
«Spiacente per il brusco decollo», gridò per superare il rombo del motore. «Spero di non averti maltrattata troppo.»
«Appena rimessi i denti al loro posto, starò benissimo.»
«Lieto di sentirtelo dire. Avrai bisogno di una dentatura in ordine, per uscire a cena con me.»
«Quando ti metti in testa qualcosa... Hai una vaga idea su dove stiamo andando?»
«Puntiamo più o meno verso la direzione dalla quale siamo arrivati. Tieni gli occhi aperti: dobbiamo cercare le luci. Tenterò di atterrare nelle vicinanze di un centro abitato nella speranza che, a quest'ora di notte, non ci sia troppo traffico. Rilassati e goditi la passeggiata.»
Austin si concentrò sul compito di riportare giù entrambi sani e salvi.
Nonostante l'atteggiamento disinvolto, non si faceva illusioni sulle difficoltà che lo aspettavano. Stava procedendo quasi alla cieca, su un territorio sconosciuto, a bordo di un apparecchio antiquato che non aveva alcun titolo di condurre nonostante la significativa esperienza maturata in occasione della fiera paesana. Allo stesso tempo, però, assaporava l'elementare affidabilità innata nel vecchio aereo, la sensazione di poter contare solo sul proprio istinto. Nessuno schermo lo separava dal vento tagliente mentre, assordato da un frastuono tremendo, se ne stava seduto in pratica sul motore. Fu assalito da un rinnovato rispetto per gli uomini che avevano guidato quelle reliquie in combattimento.
Udendolo sferragliare nel cielo notturno, sperò che il biplano proseguisse senza intoppi. Si sentì rincuorare nel momento in cui, dopo parecchi minuti, cominciò a scorgere in lontananza dei puntolini luminosi. Il velivolo si stava avvicinando al perimetro delle vaste tenute dei Fauchard. Il suo compiacimento fu scosso dalla voce di Skye, che gli gridava qualcosa attraverso il microfono.
In quello stesso istante, colse un movimento con la coda dell'occhio e girò la testa a sinistra. L'elicottero che aveva dato loro la caccia mentre si trovavano nel labirinto si era materializzato come per magia, una decina di metri più in là. Le luci dell'abitacolo gli consentirono di scorgere una delle guardie del castello sul sedile accanto al pilota. Teneva in grembo un'arma automatica, ma non fece alcun tentativo di abbattere l'aereo, che pure rappresentava un facile bersaglio.
Un attimo più tardi, udì gracchiare la voce ormai familiare di Emil Fauchard attraverso la ricetrasmittente dell'aereo.
«Buonasera, signor Austin. Ben ritrovato.»
«Emil, che bella sorpresa. Non riesco a vederla a bordo dell'elicottero.»
«Mi trovo nella sala controllo del castello, ma vi seguo agevolmente grazie alla telecamera dell'apparecchio.»
Austin lanciò un'occhiata alla gondola fissata sotto la pancia del velivolo e agitò la mano in un amichevole saluto.
«Credevo che fosse ancora nella cella insieme con gli altri topi.»
Emil ignorò l'insulto. «Che gliene pare del mio Fokker Aviatik, Austin?»
«Avrei preferito un F-16 carico di missili aria-aria ma dovrò accontentarmi, per il momento. Davvero gentile da parte sua a lasciarmelo usare.»
«Non c'è di che. Noi Fauchard siamo molto generosi con i nostri ospiti. E ora, devo chiederle di virare o farò aprire il fuoco.»
L'uomo a bordo dell'elicottero si mosse e puntò quello che sembrava un AK-47 attraverso l'apertura della cabina.
«Ovviamente ci stava tenendo d'occhio. Come mai non ci ha bloccati prima?»
«Preferirei conservare intatto il mio gioiello.»
«Ci si affeziona ai propri giocattoli.»
«Che cosa?»
Austin lasciò i comandi del biplano per un breve tratto, costringendo l'elicottero a deviare per evitare una collisione.
«Spiacente. Non ho confidenza con questo tipo di aereo.»
«Le sue strategie infantili non la porteranno da nessuna parte. Conosco a fondo le potenzialità dell'Aviatik. Detesto l'idea di perderlo, ma sono disposto anche a questo, se necessario. Stia a vedere.»
Emil doveva aver impartito un ordine al proprio pilota, poiché l'elicottero si sollevò oltre l'Aviatik per poi scendere di quota fino a che i pattini non si trovarono a pochi centimetri dalla testa di Austin. Sentendo il biplano beccheggiare e imbarcarsi a causa dello spostamento d'aria, Austin spinse in basso il muso dell'aereo; il pilota dell'altro velivolo lo imitò immediatamente, come a dimostrargli che la fuga era impossibile, poi si scostò rimettendosi a distanza di sicurezza.
Austin udì di nuovo nella cuffia la voce di Emil. «Come vede, posso costringerla a scendere in qualsiasi momento. Torni indietro, o lei e la sua amica farete una brutta fine.»
«Io forse non le servo, ma Skye porterebbe con sé il segreto dell'elmo.»
«Sono disposto a correre il rischio.»
«Forse dovrebbe interpellare sua madre, prima.»
Si udì un'imprecazione in francese, poi videro ricomparire sopra di loro l'elicottero. I pattini calarono con violenza sulle ali dell'Aviatik, appena sopra la testa di Austin, spingendo l'aereo verso il basso. Un attimo di respiro, quindi un nuovo scossone. Austin lottava per mantenere il controllo del biplano, ma la lotta era impari. Il vecchio aereo in legno e tela non poteva certo competere con il più agile e veloce elicottero, in grado, su ordine di Emil, di colpire l'avversario fino a mandarlo in pezzi.
Austin afferrò il microfono. «Ha vinto, Emil. Che vuole che faccia?»
«Torni alla pista di atterraggio. Niente trucchetti. Vi aspetto.»
Ci scommetto, si disse Austin dando inizio alla virata.
«Non possiamo tornare indietro, Kurt», intervenne Skye, che aveva ascoltato la conversazione dalla propria cuffia. «Ti ucciderà.»
«Se non ubbidiamo, ammazzerà entrambi.»
«Non voglio che tu faccia questo per me.»
«Tu non c'entri, lo sto facendo per me.»
«Dannazione, Austin. Sei cocciuto come un francese.»
«Lo prenderò come un complimento, basta che non mi si chieda di mangiare lumache o cosce di rana.»
«D'accordo, mi arrendo», sbottò lei, esasperata. «Ma non deporrò le armi senza lottare.»
«Neppure io. Controlla che la cintura di sicurezza sia ben allacciata.»
Spento l'interfono, Austin si concentrò sulle sinistre torri intorno alla casa dell'uomo che voleva ucciderlo. Non appena il biplano fu sopra l'area del castello, scorse le due file di fari che contrassegnavano il campo di volo. Fece inclinare l'aereo come per una virata in direzione di esse, ma giunto sopra il maniero prese la via opposta puntando alla torre più vicina.
L'elicottero continuava a tallonarli. Si udì la voce di Emil urlare qualcosa in francese. Con un'alzata di spalle, Austin spense la radio per dedicare tutta la propria attenzione al compito che lo aspettava.
L'elicottero scivolò via nell'istante in cui parve che il Fokker si stesse schiantando contro la torre. Con pochissimo spazio a disposizione, Austin virò mancando l'ostacolo di un soffio e sorvolò il castello in diagonale dirigendosi verso la torre opposta, che aggirò per tornare di nuovo sul corpo principale dell'edificio in uno stretto otto prima di affrontare il torrione successivo. Poteva solo immaginare le reazioni di Emil, ma se ne infischiava. Contava sul fatto che, fino a quando si teneva al di sopra del maniero, Fauchard non avrebbe cercato di costringerlo a scendere.
Sapeva di non poter continuare a disegnare otto in eterno, né intendeva farlo. A ogni virata, lo sguardo scivolava verso i campi al di là del fossato.
A un certo punto, riaccesa la radio, aggirò la torre che aveva di fronte lanciandosi in un altro otto, ma a metà percorso cambiò obiettivo, sorvolò il sentiero circolare con la fontana e si abbassò verso le luci che illuminavano il lungo viale.
L'elicottero, che aveva continuato a girare in cerchio sopra di loro, li seguì in picchiata piazzandosi proprio sopra l'Aviatik. Austin si lanciò in una planata piena fino a portare le ruote a pochi metri da terra. Il pilota dei Fauchard avrebbe potuto costringerlo ad atterrare in qualsiasi momento, ma doveva aver creduto che Austin fosse in procinto di pilotare il biplano sopra il viale, e quindi aspettò a intervenire. Quel momento d'indecisione gli costò molto caro.
Anziché atterrare, Austin s'infilò nel tunnel formato dagli alberi. L'elicottero salì leggermente di quota ma i pattini s'impigliarono fra i rami più alti, costringendo lo scagnozzo di Emil a ruotare su se stesso nel tentativo di liberarsi.
Austin udì la voce di Fauchard alla radio. Stava urlando: «Prendilo! Prendilo!»
Agli ordini del padrone, il pilota seguì l'Aviatik sotto la volta degli alberi come un cane da caccia sulle tracce di una volpe.
Più veloce, l'elicottero raggiunse il biplano in un istante. Nel distinguere il fruscio dei rotori al di sopra del rombo del proprio motore, Austin piegò le labbra in un sorrisino soddisfatto. Aveva temuto che l'avversario si limitasse a sorvolare la vegetazione aspettandolo all'uscita del tunnel. Aver nominato la madre di Fauchard doveva aver irritato oltre misura Emil, proprio come aveva sperato. A nessuno piaceva sentirsi dare del cocco di mamma, specialmente se era la verità.
Austin avanzava tenendo le ruote sollevate dalla strada di un paio di metri scarsi. Gli restava qualche altro metro di spazio in alto e ai lati, ma la situazione era critica, e il minimo sbandamento avrebbe fatto saltare le ali dell'aereo o la sua testa.
In quel momento aveva l'elicottero attaccato alla coda, ma tentò di non pensarci, concentrandosi piuttosto sulla chiazza scura che in lontananza indicava l'estremità opposta del tunnel. Giunto a metà galleria, allungò con calma la mano e tirò la leva che apriva i serbatoi con l'antiparassitario.
Il pesticida sgorgò dai contenitori agganciati sotto le ali in due scie, per espandersi poi in una bianca nube ammorbante. Il liquido tossico investì il parabrezza dell'elicottero accecando il pilota, quindi penetrò attraverso le aperture nella cabina trasformandola in una camera a gas volante.
Urlando di dolore, l'uomo staccò le mani dai comandi e se le portò agli occhi nel tentativo di proteggerli dal liquido urticante, mentre l'elicottero sbandava di lato e i rotori s'impigliavano ai rami. Le pale si disintegrarono, la fusoliera prese a sbatacchiare violentemente contro i tronchi fino a spezzarsi, provocando la fuoriuscita del carburante che s'incendiò, facendo esplodere il velivolo in una grossa massa di fuoco incandescente.
Come schiaffeggiato dallo spostamento d'aria della deflagrazione, Austin emerse dal tunnel alla velocità di una palla da cannone. Azionando il timone di coda, fece sollevare l'aereo oltre la vegetazione. Mentre l'Aviatik guadagnava lentamente velocità, si lanciò un'occhiata alle spalle. Fumo e fiamme fuoriuscivano dall'imboccatura della galleria, e la vampata aveva attaccato anche le piante circostanti.
«Siamo all'aperto, ora», annunciò all'interfono.
«Stavo giusto cercando di comunicare con te», rispose subito Skye.
«Che diavolo è successo, là sotto?»
«Mi sono divertito con il pesticida.»
In lontananza, si scorgevano strisce luminose a indicare strade e centri abitati. Di lì a poco, cominciarono ad avvistare sotto di loro i fari delle auto. Austin cercò una strada sufficientemente illuminata e nello stesso tempo priva di traffico ove poter atterrare, quindi portò giù l'aereo tutto intero, seppur con qualche sobbalzo. Una volta toccato il suolo, si allontanò dall'asfalto rollando fino al bordo di un prato.
Non appena rimessi i piedi a terra, Skye abbracciò Austin e gli piantò le labbra sulle labbra in un bacio inequivocabile. Poi cominciarono a camminare. Malgrado tagli e abrasioni varie, dopo la fuga si sentivano euforici.
Austin aspirò il profumo di erba misto a stallatico, e mise un braccio intorno alle spalle di Skye.
Dopo circa un'ora di marcia arrivarono davanti a una pittoresca auberge.
Il portiere di notte era mezzo addormentato, ma si svegliò di colpo non appena Austin e Skye varcarono la soglia della hall per chiedere una stanza.
Fissò il costume da giullare a brandelli di Austin, poi girò lo sguardo su Skye, che ricordava un gatto randagio appena uscito da una zuffa, per tornare infine su Austin.
«Americain?»
«Oui», confermò Austin con un sorriso stanco.
Annuendo con l'aria di chi la sa lunga, l'uomo spinse verso di loro il registro degli ospiti.